19.9.08

Il sogno del prigioniero

Siamo a Robben Island, l’isoletta sudafricana utilizzata come luogo di segregazione e prigionia sin dal XVII secolo, tristemente nota per essere diventata negli anni dell’apartheid l’atroce residenza di chi contestava il regime. Potremmo tuttavia trovarci in qualsiasi punto della Storia, in qualsiasi luogo del mondo in cui un governo violento e intollerante prenda il potere e si eserciti a giocare con i diritti e la dignità degli uomini. L’isola è un dramma sulla discriminazione, sull’esilio, sulla prigionia politica nel Sudafrica dell’apartheid, ma diventa universale nel momento in cui dirige uno sguardo acutissimo negli angoli in cui la libertà negata si fa libertà rivendicata e prende forme e colori insperati. Opera di Athol Fugard, il maggiore drammaturgo sudafricano, autore di drammi delicati e di grande potenza espressiva, L’isola appartiene ai cosiddetti “statement plays”, scritti nei primi anni Settanta. In quegli anni Fugard lavora a stretto contatto con John Kani e Winston Nshtona, attori della compagnia dei Serpent Players, studiando a fondo le potenzialità drammaturgiche dell’improvvisazione. I testi composti nel corso di queste feconde esperienze possiedono nella forma una freschezza rara e la leggerezza ideale per veicolare le violente critiche dirette alle leggi dell’apartheid, conservando l’immediatezza della creazione estemporanea e guidando la recitazione verso una sincerità che s’abbatte sul pubblico con una forza prorompente. Sincera è infatti la messa in scena de L’isola diretta da Marta Gilmore, sincera nella semplicità dei mezzi espressivi, sincera nei gesti e nei toni degli attori, sincera negli intenti. Isola Teatro nasce nel 2004 con la regia di questo testo, da cui prende il nome facendone il manifesto della propria poetica: «La compagnia si propone di portare avanti un percorso di ricerca teatrale che utilizzi le metodologie, i contenuti e i testi del teatro contemporaneo mondiale, mantenendo al contempo un dialogo vitale con i classici della letteratura, della poesia e del teatro, con i fantasmi della memoria collettiva ed individuale, e con l’intima e inesauribile domanda di dignità che la storia di ogni essere umano porta con sé». L’azione comincia con una corsa a perdifiato a segnare un cerchio, poi un altro e un altro ancora. Si corre fino allo sfinimento intorno al nucleo dell’azione, intorno alla pedana rialzata che è la cella del carcere, che è l’isola, la prigione. Stiamo per assistere a un frammento della vita di John e Winston, compagni di cella, stiamo per osservare la loro vita di prigionieri, umiliante e dolorosa. Le loro esistenze sono state appaiate per caso, per caso sono essi stati destinati alla convivenza, allo scambio di ricordi e pensieri. Oscar De Summa e Armando Iovino prestano il corpo e la voce ai reclusi, delineando i tratti di un amicizia autentica e disperata che si scontra con le pareti ristrette della stanza, urtando senza posa contro le ingiustizie dello Stato e contro i confini della propria libertà. Eppure, nello smarrimento dell’esilio, John trova il modo di riscattare la propria condizione, coinvolgendo Winston in un progetto che ha il sapore di una grande metafora. L’Antigone di Sofocle, messa in scena dai due detenuti, diventa un inno alla libertà in cui la recita nella recita si rivolge «ad un pubblico immaginario di detenuti e secondini, coinvolgendo loro e noi in una rappresentazione del processo tra lo Stato - il re Creonte - e la ribelle Antigone, che è anche una critica in farsa del regime dell’apartheid. Come nella tragedia greca, in cui il teatro era un rito collettivo che sanciva l’appartenenza comune alla città, John/Creonte e Winston/Antigone riescono a condividere la propria condizione con gli altri condannati e insieme a sfidare l’apartheid e le sue ben più gravi farse» (Marta Gilmore). Basta una coperta utilizzata come sipario e alcuni oggetti riadattati: la magia del teatro si ritaglia un angolo di libertà nel luogo dove la libertà è stata cancellata. Il sogno del prigioniero di Montale, che inventa «iridi su orizzonti di ragnateli / e petali sui tralicci delle inferriate» pare qui trovare la sua migliore concretizzazione.
Alessandra Cava
Isola Teatro L'isola di Athol Fugard, John Kani, Winston Ntshona con Oscar De Summa e Armando Iovino disegno luci Luca Barbati musiche Soweto String Quartet, Hugh Masekela, Peter Tosh aiuto regia Daniela Capece regia e traduzione Marta Gilmore

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