14.9.08

Verso il deserto del reale

Displaced Landscapes: paesaggi spostati, sostituiti, sottratti al reale. Mancanti e di cui si sente la mancanza: paesaggi assenti, di cui ci assale un’infinita nostalgia, ché il simulacro, il riflesso, la ri-produzione imposta al loro posto, è vuota d’ogni autenticità vitale, umana. ‘O zoo nô ci propone uno spettacolo ibrido, che coniuga sapientemente la parola, la danza, la video-arte e la musica, con l’intento di spingere la riflessione verso il deserto dell’ odierno, apocalitticamente “purificato” da ogni residuo di reale. Proiezioni di volti ci accolgono sulla scena. Per Gilles Deleuze “un volto è la complementarietà di un’unità riflettente e riflessiva e di micromovimenti, micromovimenti che determinano un’intensità. È questo un volto. La si chiamerà superficie di visageification”. A questa superficie si fa riferimento nell'esposizione di volti spontanei e concreti, segnati da sorrisi sgraziati o cipigli rugosi; infinitamente espressivi, emozionabili ed emozionanti. Il volto è un paesaggio e come tale viene deturpato: d’improvviso appaiono le facce dell’industria culturale, le pelli levigate, le espressioni modellate. Facce vere, ma non più reali; modificate, falsificate, identiche a se stesse, paralizzate. Ogni faccia è creata a immagine di qualcosa d’altro, di un sogno, è ricercata e contraffatta in vista di un fine: tutto questo gli rimane addosso, come un segno di ciò che manca. L’immaginario sfonda la parete del reale. È il vuoto. Ora le immagini che si susseguono sono quelle degli umani artificialmente riprodotti: la pelle è silicone, fili di plastica per capelli, occhi di vetro. Nei musi delle bambole, nei grugni dei droidi c’è tutta la malinconia del vuoto lasciato dal reale. La caduta del confine tra il reale e il virtuale è il loro annientamento: il sogno, l’immagine che ha pretesa di esistenza annulla la sostanza concreta alla quale essa stessa voleva inerire. È il senso di mancanza a trionfare in questo crescente annientamento della "visageification", il senso di vuoto che si estende allo spazio, al luogo, ci accompagna nelle atmosfere sospese delle tele di Hopper o in quelle desolate delle spiagge d'inverno: luoghi dell’irrealtà in cui un automa danzante si addentra, relazionandosi con aria attonita all’ambiente, ostentando una naturalezza artificiosa che non riesce a nascondere dietro ai gesti il vuoto dei sensi. Intanto un attore, seduto di spalle in un angolo del proscenio, sembra dirigere gli spostamenti del paesaggio: dalla sua posizione favorevole di oscuro demiurgo, osservatore non visto, parla di immortalità: ibernazione di teste e clonazione di corpi; corpi senza testa sembrano popolare il mondo, corpi non senzienti, morti, corpi riserve di organi, anestetizzati, carne da mattatoio bio-politico. È la guerra che nasconde nella carneficina la stessa insensibilità della finzione: grazie al diaframma dello schermo si può osservare senza essere osservati, a strage compiuta l'assassino pulisce l’obiettivo, incontaminato dalla colpa; sembra tutto finto, sembra un videogame. Il video Clean/Unclean ci mostra “Filmati di guerra registrati da sensori di armi che possono vedere nella oscurità: immagini note, certo. Operazioni chirurgiche, a freddo. Voci di presentatori televisivi [...]Le apocalissi non possono essere più commentate da voci umane. Se i satelliti sostituiscono l'occhio di Dio, allora solo più cori digitali, post-umani, possono cantare una guerra condotta attraverso schermi e sistemi di sorveglianza. I sintetizzatori vocali di Clean/Unclean, attraverso sintesi granulari e remix digitali di cori e voci ricostruiscono l'emozione negata, la violenza originaria della sensazione. Perché oltre lo schermo televisivo, oltre le lenti della telecamere c'è ancora il mondo reale”. Il “delitto perfetto" di Baudrillard è ripreso nell’assenza emozionale che ne consegue, quando neanche il valore aggiunto della violenza è sufficiente a ri-conferire realtà all’immagine. Ciò che resta è deserto, interiore ed esteriore, parte di un mondo vuoto. Torna il senso di mancanza, il bisogno di quel calore umano non artificialmente ricostruibile. Il viaggio nel deserto del video Heatseeker è un viaggio di un'attesa che risulterà sempre vana: la speranza è quella di trovare vita nei lontani residui di civiltà, la delusione è nella lenta riduzione della distanza, nel lento accorgersi di avere di fronte a sé le spoglie dell'industria della guerra. Davanti alle rovine avanza una soubrette luccicante, si regge su stampelle ornate di velluto rosso. Sulle note del Danubio blu, la sua danza ostinata e sbilenca pare l'ultima resistenza della realtà, l'ultimo balzo di un'arte mutilata, nel tentativo disperato di aggrapparsi al mondo.
Matteo Vallorani Alessandra Cava
‘O zoo nô Displaced Landscapes. Paesaggi umani e simulacri di e con Paola Chiama e Massimo Giovara immagini video e suoni Angelo Motor Comino e Visual Eyes (da Clean/Unclean e Heatseeker) musica Casey Collier, Johan Strauss, Max Giovara e Bip Gismondi, Autechre testi Gilles Deleuze, Jean Baudrillard, Apocalisse di Giovanni, Massimo Giovara coreografia Paola Chiama regia Massimo Giovara

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