
La tragedia che ride di se stessa, la violenza funesta delle passioni che si fa ridicola e si esibisce nel suo essere grottesco e bestiale. Partendo dalla maschera dei comici dell’Arte e utilizzandola come lente deformante, dietro la quale le vicende prendono corpo, Vicolo Corto mette in scena le debolezze e le depravazioni umane in un beffardo spettacolo-crogiolo che racchiude in sé numerosi riferimenti alla storia del teatro. Dramlot è il “dramma inventato” che scaturisce dall’incontro di storie e registri diversi, dando vita a personaggi ridicoli e sgradevoli, tanto da sembrare i diretti discendenti della stirpe di Ubu. Come i giganteschi antieroi di Jarry, infatti, i protagonisti di questa Ipotesi tragica per maschera comica sono vittime dei loro capricci infantili, come burattini ottusi seguono ciecamente la propria vocazione al raggiro, alla violenza, alla vendetta.
Le vicende dell’Elettra di Euripide sono alla base della storia rappresentata, ma si fondono inaspettatamente con episodi e caratteri di tragedie d’altre epoche. Così assistiamo alla comparsa di amletici fantasmi e spade avvelenate, a scene di teatro nel teatro, e mentre Clitennestra mostra una carica persuasiva e autodistruttiva degna di Lady Macbeth, Elettra si confonde con il proprio alter ego, l’algida Lavinia de Il lutto si addice ad Elettra di O’Neill. Il filo rosso che congiunge queste grandi opere lontane nel tempo s’intreccia con quello coloratissimo della Commedia dell’Arte, le cui maschere, subendo fantasiose metamorfosi, si ritrovano a scimmiottare i grandi eroi tragici. Nella cameriera vezzosa e nel giardiniere rintontito riconosciamo la coppia di servi più celebre del teatro, Colombina e Arlecchino, che apre nell’azione squarci di comicità pura, spezzando qua e là la trama della vicenda. Gli stridori prodotti dalla sovrapposizione e dall’accostamento di immaginari e prospettive tanto distanti, per mezzo del riso, esorcizzano gli archetipi del vizio umano e la loro carica di miseria e di orrore, generando un cortocircuito di grande efficacia.
E’ un maestoso carnevale tragico quello a cui assistiamo, di forte potenza visiva. Uno scintillio multicolore di costumi, dentro i quali i personaggi si dimenano correndo incontro al loro destino, fra il tulle luccicante e vaporoso delle vesti della regina, l’inquietante gonnella maculata del “porco Egisto”, fino ai veli impalpabili delle capricciose divinità, che compaiono all’improvviso per assistere divertite all’ecatombe finale. Una scenografia scarna e versatile completa il quadro: quattro carrucole sorreggono un vecchio telo bianco che, di volta in volta, nella penombra dei cambi di scena, guidato dagli attori, diventa il soffitto o la parete di una stanza, una coperta, un velo funebre, una scatola per ombre cinesi, una veste. Il meccanismo lascia scoperto sul fondo della scena un semplice fondale nero, decorato con finti specchi e candele, evocanti le atmosfere di fiabeschi palazzi. S’apre lì, dietro lo spazio dell’azione, un corridoio scuro in cui i personaggi si ritirano come spettatori muti, osservatori-osservati, marionette impotenti condannate ad ogni rappresentazione all’inevitabilità della tragedia. Ed è lì, in quella breve linea d’ombra, che riconosciamo il nostro riflesso, l’eco della nostra presenza in sala, la nostra speculare appartenenza alla scena degli orrori e delle risa.
Alessandra Cava
Carlo Benigni
Vicolo Corto
Dramlot. Ipotesi tragica per maschera comica
con Loretta Antonella, Massimo Barbini, Francesco Giarlo, Laura Graziosi, Monia Papa, Stefano Tosoni
ideazione costumi Licia Lucchese
realizzazione costumi Caterina Volpato
disegno luci Massimiliano Romanelli
maschere Compagnia Vicolo Corto
scenografia Niba & Mao
duello Luca Luciani
aiuto regia Manuela Massimi
regia Michele Modesto Casarin
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