7.9.09

I fiori di Babilonia

Ieri ho visto tre morti.

Dove?

A teatro, tre morti nelle bare. Nessun fondale, nessuna quinta, solo tre bare in verticale e dentro tre morti.

Hai visto tre morti in piedi.

Ho visto tre morti, in piedi, incorniciati dalle bare.

Raso bianco?

No, carta dorata, come quella dei cioccolatini.

Come star.

Come pop star.

Chiusi dentro, i coperchi sigillati. Tre lucidissime casse da morto di legno chiaro svettano sulla scena. Una grossa ghirlanda viene deposta ai piedi del proscenio. Il tecnico si occupa di sistemarla con cura e sale sul palco con un trapano in mano. La prima bara viene scoperchiata. C’è una donna senza nome, restituita alla vita, figuretta sgargiante che spunta dal proprio giaciglio eterno e ci fissa con sguardo assente, mentre inizia la litania dell’orrore quotidiano che snocciola un rosario di agonizzante discesa verso gli inferi. Uno, due e tre, anche gli altri cadaveri tornano alla luce: ancorati alle loro casse, A, B, C si rincorrono a suon di narrazione straniata in cui la voce non ride, non si rompe nel pianto, non geme, non esulta, non trema. Non c’è traccia di interpretazione, i personaggi si protendono a scandire la propria storia con minuzia descrittiva e linearità temporale; è il ritmo, al di sopra di tutto, a governare il flusso ininterrotto dei racconti, la cui unica caratterizzazione è lo spiccato accento del nordest con cui vengono recitati. La provincia veneta è lo sfondo grigio su quale le parole si fanno subito immagini, affastellandosi come in un rapidissimo montaggio di istantanee o come in una striscia a fumetti. Ridicoli, volgari, frustrati, arrabbiati, voraci, i protagonisti di queste storie si muovono nei paesaggi spettrali delle zone industriali, vagano per le vie di squallidi quartieri, ammazzano il tempo nei pub di periferia, sviluppando strane dipendenze e perversioni crudeli, alimentate dalla noia e dalla disperazione. Babilonia Teatri conserva il suo stile personalissimo, dimostrando di essere capace di declinarlo a proprio piacimento, mantenendo saldo il controllo dei tempi e degli spazi in modo da creare un meccanismo perfetto che esplode al momento giusto. Si fa mostra di ogni artificio scenico. Si espone in vetrina una solitudine esasperata, grottescamente echeggiata dal celebre successo della Pausini cantato a squarciagola sotto una pioggia di fiori, solitudine come condizione dominante di una generazione che sprofonda nell’illusione e si contorce nel desiderio mai appagato. Si mette in scena la fine verso la quale tutti siamo attratti, dove il successo e la morte si confondono e ogni gesto porta contemporaneamente alla vittoria e alla sconfitta. Quelle di A, B e C sono storie sfacciate che si esibiscono in una danza che le intreccia e le confonde, che si estendono all’alfabeto delle storie di tutti, accomunando in un unico destino un’intera società, nell’epoca in cui lottare per uno scopo è prerogativa degli eroi o degli imbecilli. La corsa a perdifiato verso la popolarità, il desiderio di piacere, di uscire dal privato a tutti i costi, ricordano una folle fuga dall’isolamento che fallisce nel momento in cui si ritorce contro se stessa e fa strage di tutto ciò che incontra. Bloccati nella propria cassa imbottita d’oro, i tre si mettono a nudo, ognuno nel racconto della propria personale caduta. Le storie, in principio parallele, si rivelano essere legate una all’altra, mentre il racconto procede verso la fine. Le immagini evocate si fanno via via più spietate, fino a raggiungere una violenza smisurata e surreale, tanto da sconfinare nello splatter. Angeli custodi superdotati, demoni a cui vendere l’anima in cambio di una voce da meravigliosa, sofficini appiccicati al pavimento, caramelle al miele, dita negli occhi, stupri, intestini srotolati, il tutto sublimato da un omaggio floreale a cascata che piomba sulla scena, mentre gli aspiranti divi ne raccolgono grossi mazzi a piene mani. Ascesa al cielo come ascesa all’olimpo delle star: infine la veglia funebre si trasforma in un concerto pop cantato in playback. Ora è possibile liberarsi del corpo terreno, uscire dalle tombe quotidiane, sprofondare tra fiori di plastica e lustrini; purificati dalle colpe terrene, mostrare dall’alto i propri talenti al mondo e, finalmente, essere amati.

Alessandra Cava

Babilonia Teatri

Pop star

di Valeria Raimondi e Enrico Castellani

con Enrico Castellani, Ilaria Dalle Donne, Valeria Raimondi, Mauro Faccioli

realizzazione di Enrico Castellani, Ilaria Dalle Donne, Valeria Raimondi, Vincenzo Todesco

scene Babilonia Teatri/Gianni Volpe

costumi Babilonia Teatri/Franca Piccoli

luci e audio Babilonia Teatri/Luca Scotton, Mauro Faccioli

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