9.9.09

Scampoli per lo spettacolo dell’anno (e fili per cucirli insieme)

Milleottocentonove: nascita di Darwin.

Milleottocentocinquantanove: pubblicazione de L’origine delle specie.

Millenovecentonove: pubblicazione del primo Manifesto futurista.

Millenovecentocinquantanove: creazione della prima Barbie.

Millenovecentosessantanove: sbarco sulla luna.

Millenovecentoottantanove: caduta del muro di Berlino.

Millenovecentonovantanove: morte di Stanley Kubrick.

Trovare i legami, stringere i nodi; raccontare il passato cadendo nel presente, nell’istante, nell’immediatezza della scena, e proiettarsi nel futuro. Scrivere per il teatro attraverso il segno dell’azione, mostrare il tracciato della ricerca e lasciare l’esito all’immaginazione. Gli spunti sono molteplici, accomunati casualmente dalle decine perfette degli anni che separano gli eventi, ed è come se di questi materiali si costruisse un microcosmo per la scena, un piccolo percorso ordinato tra i frammenti in orbita. Si parla di film, documenti, dicerie, storie private, ricordi. Si parla della luna con il grande carro d’immaginari che si trascina dietro. Si parla delle scimmie finte di 2001 Odissea nello spazio, della nascita del genere umano, del misterioso monolite. Si parla della paura della malattia, della morte, si parla di occhi. Occhi che scelgono di guardare la luna o il dito, occhi che si spaiano, si perdono e vengono ritrovati, occhi che ammiccano. Mentre il futuro e il passato si confondono, le forbici robuste dell’Iconoclasta si fanno strada nella complessità: egli ritaglia e raccoglie brandelli di immaginario collettivo e di storie personali; con il suo ago di Poeta le congiunge, creando un modello incompiuto o un vestito imperfetto, che il Comico non può ancora indossare e che forse non indosserà mai. è un gioco, questo di Andrea Cosentino, che si diverte con se stesso, svelando i propri trucchi e irridendo le proprie regole; uno spettacolo-Concetto che parla di un altro spettacolo, ipotetico, ancora da realizzare e che, mentre lo fa, indaga le meccaniche della spettacolarità tout court, intesa come rappresentazione eternamente in bilico tra verità e mistificazione. Gli calza a pennello l’acronimo che il critico e amico Nico Garrone (a cui questo lavoro è dedicato) inventò per lui e per pochi altri artisti definiti ICCP - Iconoclasti Concettuali Comici Poeti, esponenti di una nuova corrente che rispolvera le storiche avanguardie e ne fa strumento originale e valido di dissezione e dissacrazione dei congegni comunicativi a cui i pubblici di ogni sorta sono assuefatti.

Bastano un cappello bizzarro, un tic o una postura, un accento: l’allunaggio, l’evento più ambiguo della storia dei media di massa viene filtrato da personaggi strampalati che intervengono con la propria surreale versione dei fatti a punteggiare ­lo svolgimento del racconto con storie di alieni e licantropi, tra ricostruzioni di Kubrick e improbabili controfigure di Viterbo. Un meccanismo complicato di rispondenze si instaura tra i variegati materiali esposti come in una galleria del racconto, mentre l’artificiosità degli espedienti scenici non viene nascosta, ma dichiarata ed esasperata dall’utilizzo di oggetti che richiamano l’idea di un teatro artigianale dal forte potere poetico e dunque creativo. Se in «Telemomò» - progetto di restrizione dello spazio compositivo ai quattro lati della cornice di un televisore - vengono trasposte, materializzate, smascherate le convenzioni del linguaggio dello schermo, qui vengono portati in superficie gli scheletri occultati della narrazione, viene infranta ogni illusione di verità, si afferma l’impossibilità di conoscere una realtà della quale non si ha più esperienza immediata e di cui una fila interminabile e inevitabile di errori ne invalida la riproduzione. Una storia vera è dunque un ossimoro, ogni racconto falso come la luna di carta che brilla ingannevole, incollata al soffitto del cielo insieme all’originale, nella favola che Cosentino legge alla figlia per farla addormentare. A dispetto della sete di realtà, dell’avidità con cui ricerchiamo l’autenticità delle informazioni, dell’ossessione per i fatti di cronaca e per i reality show, il Poeta, con grazia e gentilezza, addita il grande artificio: il tempo imperfetto, indicativo di un’azione non ancora conclusa, il tempo del racconto, il tempo del gioco. Facciamo che eravamo andati sulla luna?

Alessandra Cava

Andrea Cosentino

Primi passi sulla luna

Divagazioni provvisorie per uno spettacolo postumo

di e con Andrea Cosentino

assistenza drammaturgia e registica Andrea Virgilio Franceschi, Valentina Giacchetti

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