11.9.09

extra

25.06.2008 Voci di Fonte, Siena
Conversazione con Fabio Monti e Norma Angelini
di Alessandra Cava 

Lampedusa è uno spiffero!!! è uno spettacolo con un solo attore e una sedia in scena, una composizione visiva facilmente associabile al teatro di narrazione. è possibile ipotizzare un rapporto di derivazione del vostro teatro con la tradizione dei grandi narratori?

Non credo sia possibile etichettare il nostro lavoro, poiché la nostra produzione è molto eterogenea e sfugge alle definizioni. Per quanto riguarda Lampedusa, potrebbe a prima vista apparire come uno spettacolo di narrazione, ma presenta una caratteristica sostanziale che devia lo spettacolo da questa tradizione: non vi è un vero e proprio arco narrativo, né un narratore. Il ruolo di Fabio in scena è quello di passare da un personaggio all’altro come in una sorta di monologo multiforme, frammentario e sconnesso. Uno dei difetti maggiori del teatro italiano è la sua tendenza a stancarsi velocemente: crea continuamente nuove mode e poi le distrugge. La noia è un virus abbastanza diffuso e colpisce non solo il pubblico, ma i teatranti stessi, e noi tentiamo di combatterlo lavorando su una forma eclettica. Non a caso nel nostro “Diciassettalogo” appare una citazione da  La subdola strategia della noia di Peter Brook, il nostro nume tutelare: “Non annoiarti. Se ti annoi stai sbagliando strada”. 

Per restare nella zona d’influenza di Brook, quanto vi appartiene la sua concezione di leggerezza come forma ideale per la trasmissione di contenuti profondi?

La leggerezza è uno strumento di comunicazione che non solo rende accessibile il tema trattato, ma permette un rapporto paritario di condivisione fra attore e spettatore. Quando Brook parla di leggerezza, però, mette in campo una pratica della qualità in termini esoterici a cui noi non possiamo ancora avvicinarci per mancanza di esperienza dal punto di vista umano, teatrale. La sua idea è un punto di partenza, per noi che siamo ancora all’inizio del nostro percorso di ricerca. 

C’è un limite oltre il quale la tensione verso la qualità perde il suo senso?

Non c’è una regola,  ci sono infiniti fattori da cui questo dipende. Ma il limite, per l’arte in generale, è una benedizione. Molti artisti, scontrandosi con i limiti,  ne ricavano nuova materia per la propria creazione. Anche lo spettatore, nel suo essere distante e opposto, può essere considerato un limite, un limite buono, poiché lo spazio che si frappone fra il palco e la platea crea una dimensione parallela nella quale avere una visione reciproca più chiara. 

Com’è nato  e come avete lavorato al progetto di Lampedusa è uno spiffero!!! ?

Il progetto di Lampedusa nasce dalla volontà di trattare il tema dell’immigrazione, intesa come un cambiamento epocale assolutamente inevitabile e che coinvolge tutta l’Italia, anche se il fenomeno viene percepito in maniera più forte nelle grandi città. In un primo momento abbiamo privilegiato uno sguardo generale e freddo sull’argomento, esaminando i dati riguardanti le statistiche e le legislazioni di tutto il mondo. In seguito abbiamo spostato l’attenzione sul caso particolare dell’isola di Lampedusa, con la volontà di osservare il fenomeno da vicino. Tre settimane a stretto contatto con la popolazione, ascoltando quello che le persone avevano da dire, guardandole negli occhi, hanno fornito il materiale caldo per lo spettacolo. Una delle terre più a sud di tutta l’Europa, Lampedusa ha vissuto, concentrata negli ultimi dieci anni,la trasformazione economica e sociale avvenuta in mezzo secolo di storia occidentale. Questo sconvolgimento ha modificato all’improvviso la percezione della realtà e i valori dei lampedusani; li ha resi molto più ricchi grazie all’esplosione del turismo, ma molto più soli. Tra gli abitanti dell’isola, un diffuso allarmismo nei riguardi dell’immigrazione, montato dalla stampa e dalla televisione, si unisce alla paura di tornare alla miseria di un passato ancora troppo recente. Il metodo che utilizziamo in lavori di ricerca come questo parte dalla raccolta di materiale vivo, e dalla estremizzazione delle contraddizioni del caso. All’inizio del percorso si è inevitabilmente carichi di pregiudizi, ma essi cadono uno ad uno nel corso dell’esperienza. è un modo di “farsi rompere gli occhiali” con cui filtriamo la realtà, osservandola da una molteplicità di punti di vista.

Qual è la reazione del pubblico durante lo spettacolo? è ancora possibile, grazie al teatro, “rompere gli occhiali” dello spettatore?

La reazione più comune è la commozione, mista all’indignazione. Purtroppo crediamo poco a un teatro che provochi un cambiamento concreto, che sia capace di modificare realmente la percezione dello spettatore, che sposti nella sfera pubblica ciò che è riconosciuto come fenomeno privato. Il teatro politico non ci appartiene più come formatore di coscienze, ma resta comunque uno degli ultimi luoghi della verità, in cui si può dire la verità, ciò che altrove è indicibile. 

Come si è evoluto il vostro lavoro su Lampedusa durante il periodo di ricerca?

Dal momento in cui è stato scritto il progetto a quello in cui è stato messo in scena la prima volta, a Milano, sono passati quasi due anni, durante i quali lo spettacolo ha subito una radicale trasformazione, essendo stato inizialmente concepito come una sorta di musical con sette personaggi. Ed è tuttora in evoluzione, poiché non vi è testo scritto, ma un canovaccio di temi che permette una libera gestione dell’azione, in uno spettacolo per ogni replica diverso. La coerenza, a nostro parere, deve risiedere nel tema e non nella forma. Quando si comincia a lavorare a un programma di questo tipo, come sta avvenendo ora per il nostro prossimo progetto su Don Milani, l’approccio alla realtà è completamente diverso, l’attenzione è dilatata e le idee continuamente suscettibili di cambiamento. Il lavoro è continuo, la ricerca interminabile, una ricerca di sé che si identifica con uno scandaglio del mondo circostante. Sempre mantenendo nitida la visione che in quel momento si sceglie di seguire. è un equilibrio instabile, soggetto all’esperienza, al vivere con gli occhi bene aperti su ciò che accade intorno a noi. 

La scena è ridotta all’essenziale: oltre alla sedia per l’attore, un telo per le video-proiezioni. Come interagisce il linguaggio del video con lo spazio e con l’azione?

I video sono sia documenti del viaggio nell’isola, sialavori di computer grafica e di montaggio di immagini. Volutamente non integrate con l’azione, le proiezioni scandiscono il tempo dello spettacolo, conquistando ogni volta il proprio spazio autonomo. Il mantenimento del carattere artigianale dell’opera è una scelta volta a potenziare l’impatto delle immagini proiettate e a restituire la sincerità dell’esperienza diretta. Esse ricordano il tocco leggero di una cosa vista per caso, all’improvviso, uno squarcio sfocato sulla realtà.

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