5.9.08

Perché la memoria è importante!

Quando la luce in platea è ancora piena, quando il mormorio del pubblico è ancora vivo e il buio del palco lascia intravedere soltanto la sagoma di una sedia, allora entra in scena Mario Perrotta: passa tra il pubblico, si presenta, il sorriso sulle labbra e un impeto appena frenato dallo spettacolo che sta per cominciare; dà le solite avvertenze di sala, parla del suo Italiani cìncali!, delle sue ricerche, dei viaggi da bambino, degli emigranti che ha visto con i suoi occhi; parla di sé: lui è e rimarrà per tutto lo spettacolo Mario Perrotta. La memoria infantile delle ore passate in treno, da Lecce a Bergamo, lo portano vicino a quei volti, a quelle voci d’emigranti che nel secondo dopoguerra lasciarono paese e famiglia con l’aiuto dello stato, per andare in Belgio, in Germania, in Svizzera, in Francia, per morirvi esplosi o soffocati; l’adulta consapevolezza lo spinge in quelle terre, verso quelle “storie, infinite, che reclamano ascolto”; così nel 2002 nasce il “Progetto cìncali”: una prima parte sui minatori in Belgio, la partenza, e una successiva su la turnàta degli italiani emigrati in Svizzera. Le ricerche durate un anno, di paese in paese attraverso il Sud Italia, oltre ad avergli consentito di leggere le lettere originali e i diari di quella gente, hanno prodotto centocinquanta ore di registrazioni di racconti; voci, volti e storie infinite, tutte diverse e tutte uguali, si ritrovano, condensate in un monologo di un’ora e mezzo, scritto da Perrotta stesso in collaborazione con Nicola Bonazzi. Si ritrovano tutte in un racconto diverso, in una storia inventata, ed emergono nel sapiente intreccio di fantasia e realtà. Perrotta parla di sé salendo sul palco, ci parla della Puglia: sia avvertono chiaramente la vicinanza e il debito d’espressione con la sua terra d’origine, ma al contempo emerge l’estraneità data dall’essere visto come “uomo del Nord”. Parla ancora, delle ricerche nel Salento, dei minatori, dell’importanza della memoria e lo spettacolo è già cominciato da un po’ quando d’improvviso eccolo diventare il postino del paese, Pinuccio: le luci sul palco si sono accese e cambiano colore, assecondando i cambi di personaggio. “Il postino conosce le storie di tutti gli emigranti del paese. Il postino ha memoria! E la memoria è importante, […]”. Il postino ha cultura e lo mostra sin da subito parlando di “longhibardi”, “angiolini” e “regonesi”, perché è la cultura che lo ha fatto rimanere al paese, lo ha “salvato” dall’espatrio, “ché so leggere e scrivere e anche far di conto e per questo m'hanno scelto di fare il postino”, ma al contempo questa cultura gli ha dato l’onere di leggere, censurando secondo la sua sensibilità, le lettere gonfie di disperazione dei mariti andati all’estero per portare soldi a casa; è la cultura ancora che gli dà la memoria e questo gli ha consentito di viaggiare più di tutti gli altri, di soffrire più di tutti gli altri, avendo in sé la vita di ciascuno. Il narratore lascia spazio a Pinuccio, tornando solo di rado come voce di una storia oggettiva (la luce fredda lo evidenzia) a far sì che la semplicità del postino non ci faccia dimenticare la profondità della sua figura. Il personaggio complesso racconta e si racconta, e le sue mille sfaccettature, di dolori, tristezze, euforie sono riflesse nel volto dell’attore, che presta il suo corpo; perché il corpo stesso è in fibrillazione, per quanto immobile, per quanto seduto, infatti vi è solo una sedia sul palco: Perrotta vi si siede all’inizio e non si alzerà fino agli applausi, nel frattempo le sue braccia in eterno movimento cullano il nostro sguardo, ci accompagnano in Belgio, spalancate, ci mostrano il paesaggio, mani che diventano roccia e carbone, diventano la famigerata vena 25, mani che dolci sfogliano le lettere, delicate carezzano le donne. Il pubblico è rapito dalla narrazione, incantato: l’immediatezza funziona, nonostante il gioco scenico sia palesato, merito del testo e della sua interpretazione da parte dell’attore. Tuttavia lo straniamento è parte indispensabile del lavoro: lui è e rimarrà per tutto lo spettacolo Mario Perrotta, torna la luce fredda a dircelo, perché al di là della fantasia è tutto vero; l’artista è garante di veridicità: con le sue storie di infanzia sui treni mostra l’esperienza della sua vita legata a queste “faccende”, parla di una memoria che gli appartiene; ma lui è Mario Perrotta, ce lo ha raccontato, ha studiato a Bologna, lì vive, allontanato da tempo dalle terre natie. “Signuria mi potrà confermare siccome che se non sbaglio mi sembra che venga dal Nord”: lui, per i protagonisti di questa storia, non è meno estraneo di noi; ciò nonostante la memoria non riguarda noi meno di lui; “E la memoria è importante, perché -…ne abbiamo sempre meno… - perché -…qualcuno l’avrà pure permesso quel boom economico… - perché -…l’Italia girava in Cinquecento e noi dormivano in otto in una stanza… - perché -…siamo stati venduti dallo Stato per un sacco di carbone… - perché -…mi vergogno di raccontare a mio figlio quello che siamo stati e come ci hanno trattati… - la memoria è importante”.
Matteo Vallorani
Compagnia del Teatro dell'Argine Italiani cìncali! Parte prima: minatori in Belgio di Nicola Bonazzi e Mario Perrotta interpretato e diretto da Mario Perrotta voci amichevolmente registrate da Peppe Barra, Ferdinando Bruni, Ascanio Celestini, Laura Curino, Elio De Capitani

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