20.9.09

Deserto Libico


Dagmawi Yimer, etiope, coautore del documentario “Come un uomo sulla terra” assieme ad Andrea Segre e Riccardo Biadene, studiava giurisprudenza ad Addis Abeba, ma ha abbandonato gli studi fuggendo dal suo paese per “motivi politici”. Dalle sue parole emerge che sotto questa formula dal sapore quasi burocratico si cela davvero l’impossibilità di realizzarsi, o più semplicemente di continuare a vivere nel proprio paese: “Ad Addis Abeba studiavo Giurisprudenza, ma vedendo che i giudici vengono arrestati dal governo o diventano strumento del potere, mi sono chiesto: che ci faccio in questo paese?” – dice Dag, aprendo il documentario. Attraversato il deserto tra Sudan e Libia, diventò merce di scambio dei contrabbandieri che gestiscono gli esodi di migranti nel mediterraneo e oggetto di soprusi da parte delle forze dell’ordine libiche, ma riuscì comunque a raggiungere l’Italia per mare. La sua storia ci porta infine a Roma, nella scuola di italiano “Onlus Asinitas”, dove Dag ha potuto prendere familiarità con la nostra lingua, ma anche con gli strumenti espressivi del film documentario. Dalla congerie di stimoli e di esperienze accumulate nella propria odissea, Dag ha cercato di dare voce a coloro che hanno condiviso con lui le medesime vicissitudini e di dare un contributo autentico al dibattito politico sull’immigrazione, spesso incentrato su formule stereotipate e indifferenti alla complessità del problema. Dag entra subito con la telecamera nella scuola di italiano “Asinitas”, a Roma, sulla via Ostiense, nei primi piani cattura i volti di ragazzi dagli occhi profondi, la cui voce è venata dalla rabbia per le ingiustizie subite e solo a tratti si rompe in conati di pianto discreti e subito repressi. Le loro storie sono terribilmente simili: partono dall’Etiopia, dal Sudan o dagli altri paesi della fascia sub sahariana, attraversano il deserto sui dei fuoristrada in cui sono ammassati come sacchi di frumento, senza acqua né cibo. Arrivati in Libia, diventano preda dei trafficanti e della polizia passando dagli uni agli altri. I racconti, le braccia tumefatte di una ragazza legata con una corda per nove giorni e il ricordo dello stupro subito da parte di alcuni poliziotti, si alternano alle immagini tronfie degli accordi bilaterali tra Italia e Libia contro l’immigrazione. Dal 2003 infatti l’Italia, passando per i governi Berlusconi, Prodi fino ai giorni nostri, ha iniziato a tessere degli accordi con il colonnello Gheddafi al motto di “più petrolio, meno immigrati”, senza preoccuparsi di come i fondi e i mezzi italiani siano impiegati. I containers che i libici utilizzano per trasferire i migranti ad Al Kufrah sono stati donati dall’Italia: basta entrare in una di queste scatole di lamiere, immaginarvi dentro accovacciate più di cento persone, farsi imperlare la fronte di sudore dopo pochi minuti per il caldo asfittico per capire che quei famosi treni di sessanta anni fa non appartengono definitivamente alla storia. Dice Dag con amara ironia: “Io quando ero bambino ho visto il nostro gatto che mangiava uno dei suoi cuccioli perché era debole. […] E’ così che sta facendo l’Italia: quello che riesce a passare il mare, lo tiene, lo riconosce, ma quello che non ci riesce, lo fa mangiare da un libico”. Davanti alle flebili reazioni degli organismi internazionali che non riescono ad avere un ruolo decisivo e concreto, davanti alla nuova politica dei respingimenti inaugurata dal governo Berlusconi e alle voci dei migranti raccolte rimane tragicamente sospesa la domanda di una ragazza: “Come puoi stare zitto quando qualcuno viene frustato?”


Matteo Marcozzi

Come un uomo sulla terra
di Andrea Segre, Dagmawi Yimer, Riccardo Biadene
 con Fikirte Inghida, Dawit Seyum, Senait Tesfaye, Tighist Wolde, Tsegaye Nedda, Damallash Amtataw, Johannes Eyob, Tsegaye Tadesse, Negga Demitse
soggetto e fotografia Andrea Segre
montaggio Luca Manes con la collaborazione di Sara Zavarsie
consulenza giornalistica Stefano Liberti, Gabriele Del Grande
consulenza storica Alessandro Triulzi

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